REGIONE
Lazio
ORIGINI
Alto Medioevo
ALTITUDINE
783 metri s.l.m.
Su un piccolo poggio boscoso in Ciociaria, tra Fiuggi e Frosinone, si nasconde un borghetto medievale. Sembra uno dei tanti paesini della campagna romana, né più né meno. Tuttavia, passeggiando tra i suoi vicoli verso il centro del suo cuore di pietra, spunta un’imponente cinta muraria. L’aura misteriosa del grande portone a tutto sesto, sormontato dallo stemma della famiglia Longhi, incita a entrare.
All’interno, si scopre un vero e proprio gioiello. Infatti, nessuno si immaginerebbe che in questo borgo quasi sconosciuto si celi un palazzo dalle sale splendidamente arredate. Si respirano davvero i secoli di storia che lo caratterizzano. Ma si respira anche qualcos’altro, qualcosa di più oscuro…
Lo visitammo poco dopo il lockdown del 2020. Ci eravamo sempre ostinati a escludere il Castello di Fumone dalla lista dei castelli da visitare, non colpiti dagli esterni poco appariscenti. Non si trovano foto del castello vero e proprio, se non foto delle mura che circondano il borgo e degli interni. Effettivamente il nucleo centrale non ha la tipica forma dei castelli a cui siamo abituati. Visto dall’alto, sembra come se le abitazioni creassero un involucro impenetrabile, un guscio a protezione del cuore pulsante del paese. Come a voler sottolineare la lealtà dei cittadini ai loro signori.
La posizione particolarmente fortunata ed elevata, con vista sulla Valle del Sacco e su un tratto di 50 km di Via Latina – la strada che collegava Roma a Napoli -, ha conferito al monte su cui sorge il Castello di Fumone una notevole importanza strategica. La funzione di vedetta la svolgeva già nel periodo di dominazione degli Ernici e poi dei Romani, i quali utilizzavano i segnali di fumo per comunicare eventuali pericoli provenienti da Sud. Il monte di Fumone fu usato persino come rifugio da Tarquinio il Superbo dopo essere stato scacciato da Roma. E fu proprio il gigante Fumone a puntare il suo occhio su Capua e ad avvisare i romani che il generale cartaginese Annibale aveva deciso di marciare contro Roma.
L’usanza dei segnali di fumo, da cui deriva il nome del Castello di Fumone, rimase per tutto il Medioevo e per più di 500 anni i papi usarono la fortezza come sentinella del Sud, oltre che prigione pontificia. Nel sedicesimo secolo iniziò la sua decandenza. Perciò Papa Sisto V affidò il maniero a una famiglia aristocratica romana, i marchesi Longhi, i cui eredi ancora oggi lo possiedono e permettono l’apertura al pubblico. Fu proprio uno dei Longhi a far costruire nel XVII secolo il giardino pensile più alto d’Europa, sopra il tetto della rocca.
Mentre attendevamo che la guida ci accogliesse all’interno del castello, abbiamo passeggiato per il borgo. Attirati dal profumo di dolci, ci siamo fermati davanti alla porta di “Fantasia del Dolce”, un piccolo forno costruito all’interno di un’abitazione medievale angolare. Volevamo assaggiare le tipiche ciambelle al limone ma erano già andate a ruba. Le fornaie, due persone deliziose, ci hanno promesso che, se fossimo ripassati più tardi, ci avrebbero fatto trovare una bella quantità di ciambelle appena sfornate. Dopo la visita, infatti, non abbiamo potuto fare a meno di prenderne due sacchetti pieni. E che genuina bontà! Non c’è niente di meglio che coniugare la bellezza dei luoghi antichi con le antiche tradizioni, anche culinarie, di quei luoghi, capaci di abbracciare molti sensi.
Ma, tornando a noi, perché alla fine abbiamo scelto di visitare il Castello di Fumone?
Sono state le storie di fantasmi a reclamare la nostra attenzione, e per fortuna! Perché è vero che l’esterno non è appariscente, ed è nascosto dalle compatte mura medievali oggi costellate di abitazioni, ma gli interni sono bellissimi. Siamo rimasti colpiti soprattutto dalla prigione di Celestino V e dalla cucina, con quell’enorme camino e la lastra di marmo su cui venivano macellati gli animali. Per non parlare della sorpresa del giardino pensile, di cui non sapevamo nulla. Oltre ad essere incantevole, è abbastanza esteso da non permettere ai sensi di comprendere che ci si trova letteralmente sopra il tetto-terrazzo del castello. Non ci si fa caso nemmeno quando gli occhi si soffermano sul panorama bucolico tipico della Ciociaria.
C’è da aggiungere che l’energia che si percepisce in questo castello è notevole, che si creda o meno nei fantasmi. Le tracce del passato sono rimaste nella struttura, nelle mura, nell’aria. E conoscere le storie inquietanti che si tramandano riguardo alle presenze del castello non ha fatto che incrementare quella sensazione di brivido sublime.
Due episodi storici meritano una menzione particolare, uno dei quali compare in tutti i libri di scuola.
Il più illustre prigioniero del castello fu Papa Celestino V. Rimase chiuso in una cella angusta per dieci mesi, fino alla morte, nel 1296. Le ragioni della reclusione furono delle scelte politiche che lo portarono a inimicarsi la Curia romana. Da santo stimato da tutti, capace di compiere miracoli, divenne un vecchio disprezzato. Realizzò di non poter sopportare le tensioni e le pressioni politiche e decise di abdicare per tornare alla santa vita eremitica.
Tuttavia, il successore Bonifacio VIII lo fece rinchiudere in una cella del Castello di Fumone nel timore che tornasse sui suoi passi. Dopo la morte, gli fu conficcato un chiodo nel cranio. Sembra che il re di Francia, Filippo IV, tentò con questo gesto di far accusare il nuovo papa della morte di Celestino. Se tutto questo stupisce, è bene ricordare che la Chiesa è uno Stato e che il papa è un politico. Ancora oggi. Dietro ogni parola, ogni gesto, dietro ogni apparente apertura, si nasconde un abile calcolo.
Il secondo episodio si mescola con i fumi della leggenda.
Si racconta che nel 1851, a soli tre anni, morì il marchesino Francesco Longhi, avvelenato dalle sue sette sorelle con graduali somministrazioni di arsenico. Il movente dell’omicidio sarebbe stato, come avviene spesso, di tipo economico: al marchesino, in quanto figlio maschio, spettava tutta l’eredità, e alle sorelle sarebbero toccati dei matrimoni di convenienza o il noviziato. Per opporsi a quello sconveniente destino, complottatorono per liberarsi dell’unico maschio. A questa motivazione si aggiungeva l’invidia per le attenzioni che la madre, Emilia Caetani Longhi, riservava esclusivamente all’amato maschietto, onore della famiglia.
Secondo un’altra versione, le sorelle del piccolo Francesco lo avrebbero costretto a ingerire dei frammenti di vetro, morendo in modo atroce. Le analisi, però, sembrano confermare la veridicità della prima tesi, avendo rintracciato la presenza di arsenico in alcune parti del corpo. Un corpo che è possibile ancora vedere, dentro una teca, rivestito di cera, simbolo del dolore di una madre che pur di non separarsi dal figlio scelse di immortalarlo in quella forma. Nella teca in cui riposa il marchesino, sono presenti anche i giocattoli con cui si divertiva e un ritratto che lo ritrae nel momento dell’agonia.
Fino al giorno della sua morte, la madre Emilia aveva creduto che il figlio fosse deceduto a causa di una polmonite. Impazzita per il dolore, aveva imposto il lutto in tutto il castello, rivestendolo di oscurità, eliminando ogni riferimento allegro o colore acceso, facendo modificare i quadri che esprimevano positività. Prendeva il corpo di cera e lo cullava, lo spogliava e rivestiva, se ne prendeva cura, ci parlava, lo baciava ricoprendolo di lacrime. Piangeva perché sentiva tra le braccia la rigidità di un corpo senza vita, sentiva sotto le labbra il gelo della morte, ma non poteva accettare di averlo perduto e non si dava pace. Non si è mai data pace.
Non abbiamo mai visitato un castello tanto affollato di presenze e misteri quanto il Castello di Fumone. Si parla di un minimo di diciotto fantasmi.
Quale posto migliore della prigione ufficiale dello Stato della Chiesa per ospitare le anime dei prigionieri morti nel corso di 500 anni? Non sapremmo consigliare una fortezza più spettrale agli appassionati di presenze o ai cacciatori di fantasmi.
Alcuni sostengono di aver fotografato l’ombra dell’anziano volto affranto di Papa Celestino V, in quella stretta cella che non difficilmente suscita una sensazione claustrofobica nel visitatore. Si può trovare lo scatto del volto online. Ma è patrimonio comune la leggenda secondo cui la sua canonizzazione sia stata accelerata dall’apparizione di una croce luminosa davanti alla porta della prigione per tutto il tempo dell’agonia che precedette la sua morte, il 19 maggio del 1296.
Ancor più antico il mistero dell’Antipapa Gregorio VIII (Maurice Bourdin). Fu eletto papa dall’imperatore, che voleva opporsi alle fazioni nemiche contrastando Papa Gelasio II. Ma alla morte di Gelasio, l’entusiasmo per l’elezione del nuovo papa spinse l’imperatore ad abbandonare l’Antipapa Gregorio, che fuggì a Sutri e, in seguito all’assedio papale, fu consegnato in catene dalla popolazione. Il nuovo papa, Callisto II, lo fece confinare in diversi monasteri fino ad arrivare, a quanto pare, proprio a Fumone. Qui morì nel 1124, alcuni dicono murato vivo. Non è certa la causa della morte, ma quel che è certo è che non fu mai trovata la sua tomba.
Il fantasma più noto è quello del piccolo Francesco Longhi. Non è difficile rimanere impressionati dalla vista del suo corpo cerato e dei suoi giocattoli. Immaginate di trovare quei giocattoli, già di per sé inquietanti in quanto simbolo di un’epoca lontana, spostati o nascosti da qualche parte nel castello. Pare che non di rado si oda un bimbo correre per le stanze con fare giocoso, intento a trastullarsi con gli stessi oggetti con cui riposa la sua mummia.
Ma la presenza più angosciante è quella della madre, Emilia Caetani Longhi. Pianti inconsolabili, singhiozzi provenienti dalle finestre delle zone disabitate del castello. E la camera con la teca contenente il corpo di Francesco è assiduamente frequentata dalla sua anima senza pace, eco oscura della sua incapacità di accettare che la morte fa parte della vita. E nella sua stessa morte riecheggia la traccia di questa potente angoscia, che la spinge ancora oggi a vezzeggiare le spoglie del bambino.
Il sito ufficiale del castello racconta di luci che si accendono e si spengono da sole, mobili spostati, oggetti nascosti, e di un lampadario crollato su un tavolo.
Un concentrato di presenze, direttamente proporzionale al numero di morti e delitti avvenuti tra quelle mura. Da ricordare anche il Pozzo delle Vergini, facente parte del percorso di visita. Il signorotto locale gettava nel pozzo le fanciulle appena sposate quando si rendeva conto che non erano arrivate vergini al matrimonio. Le ossa femminili rinvenute sul fondo testimoniano la veridicità del racconto.
Che si creda o meno negli spiriti fa poca differenza. Per chi ci crede, però, le tracce sono ovunque, confermate da medium e acchiappafantasmi.
In una zona poco appariscente del castello sono state allestite due camere in cui è possibile passare la notte. Ora che siete consapevoli dei racconti paranormali che arricchiscono il patrimonio del Castello di Fumone, riuscireste a spegnere la luce e a prendere sonno in una delle camere?